Milady “sfugge” alle mani umane

Una fotografia molto interessante, questa, perché ci racconta il GATTO SELVATICO .

Cosa intendiamo per “gatto selvatico”?

Nessuna accezione zoologica o biologica, sia chiaro, ma piuttosto etologica e psicologica: consideriamo selvatico il gatto che, pur conoscendo l’essere umano, pur abituato a coabitare con esso ( come può essere all’interno di una colonia o comunque di un ambiente antropizzato), non ha nessun interesse né desiderio di carezze.

Questo non significa che il gatto selvatico rifiuti la relazione con l’essere umano, a cui anzi può volere bene. Ma è un affetto che non prevede la carezza. Ne sanno qualcosa le referenti di colonia che, al loro arrivo, sono accolte con affetto da gatti che le riconoscono, ma che a malapena possono sfiorare mentre mangiano.

Il punto di partenza sta in una diversa modalità di comunicazione affettiva:  se, per l’essere umano (come per altri primati), la carezza è una forma spontanea di dimostrazione di affetto, il gatto manifesta amicizia e amore tramite allo-grooming (leccatura reciproca), contatto nasale, e rubbing (strofinamento di parti specifiche del corpo, che emettono feromoni: fianchi e guance soprattutto). Altri tipi di contatto fisico sono insensati, quindi sgraditi, una potenziale minaccia.

Eh, ma il mio gatto mi chiede coccole”…. Tramite il processo di domesticazione – o meglio coevoluzione –  il gatto ci ha studiati  e, così come ha imparato a miagolare per attirare la nostra attenzione, altrettanto ha imparato ad apprezzare, e quindi a cercare, le nostre coccole. Ma anche il più domestico dei mici lo tollera fino ad un certo punto. Poi si allontanerà e comincerà – tramite il grooming (leccatura) – a ritrovare la propria identità felina di odori e consistenza del pelo.

Se etologicamente il gatto è un animale semiselvatico (o semidomestico), nel gatto selvatico il processo di domesticazione è stato meno intenso.

Torniamo alla fotografia…. Quella che si vede è Milady che sfugge a una mano umana.

Lei è una gatta molto anziana, che da sempre vive su questo territorio, allattata da una umana. Milady non ha subito traumi dall’essere umano, che anzi per come ha potuto si è sostituito alla sua mamma. Non è stata maltrattata, né abusata; è stata accudita, nutrita, coccolata e vezzeggiata. Non ha nessun motivo che non sia GENETICO per rifiutare carezze. In oltre 10 anni di vita in colonia, la sua reazione al tentativo di contatto fisico da parte umana è il solito: disgusto e allontanamento.  Probabilmente, se facessimo naso-naso, sarebbe più disponibile…

Che dire ancora?

Il nostro invito è a rispettare ogni individuo – sia un gatto o un animale di altra specie – per chi è: non pretendiamo di chiudere in appartamento gatti che impazzirebbero o di deprimerebbero, costretti magari a uscire dalla loro tana solo la notte, completamente privati di una vita di relazioni soddisfacenti.  E non ignoriamo gatti in strada che invece non sono in grado di cavarsela, e che desiderano una relazione intensa con noi umani.

Quando ci relazioniamo con un gatto, cerchiamo sempre di far fare un passo indietro alla nostra umanità, ritroviamo la nostra animalità per comunicare con lui da pari a pari e non prevaricarlo con quello che noi riteniamo sia – per principio – il suo bene.

E ricordiamo che ogni relazione sociale e affettiva è dinamica: se Milady non ha mai fondamentalmente cambiato il suo atteggiamento nei nostri confronti, altri gatti possono avere un maggiore interesse a scendere sul nostro piano comunicativo. Sta a noi, se lo vogliamo, stimolare il loro interesse, e mai confondere la reciproca accettazione con la rassegnazione.

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